Formiche

5G, crescita e legge elettorale, Nannicini “Cambiamo passo”

FRANCESCO BECHIS
Economia/#innovazione

Dal 5G (senza cinesi) al Mes, così il senatore detta la linea.

 

Nannicini, partiamo dal tema caldo, il 5G. Lei ha detto che servono due paletti: lasciare fuori le potenze autoritarie e scommettere sulla rete per creare sviluppo. A che punto siamo?

L’incontro a Palazzo Chigi è stato interlocutorio, ma ha indicato la strada giusta. A quei due paletti, poi, se ne deve aggiungere un terzo, per me scontato, per altri no. Non dobbiamo cadere nella superstizione di chi sostiene, senza prove, che il 5G faccia danni alla salute.

Domanda secca: le aziende cinesi devono essere escluse dalla rete core?

Non ho gli strumenti per valutare un’esclusione parziale o totale. So che qui c’è un tema politico. Sul 5G le ragioni economiche e tecnologiche devono essere soppesate assieme a quelle di sicurezza nazionale. Nessuno nega la necessità di rapporti commerciali e culturali con la Cina. Ma evitiamo di mettere la testa sotto la sabbia: parliamo di una potenza non democratica, che investe in tecnologia per aumentare la sua influenza geopolitica.

Nel comunicato Palazzo Chigi fa sapere che l’Italia cerca una soluzione europea al 5G. Non c’è il rischio che Bruxelles sia usata come parafulmine?

Il rischio c’è, se non interpretiamo la centralità dell’Europa come qualcosa che ci riguarda. Giusto fare scelte comuni con i partner europei. Un po’ meno dire: ci pensa l’Ue, e nel frattempo andare a braccetto con i cinesi. L’interesse nazionale è una priorità da vivere dentro l’Europa. Credo che il governo ne sia convinto.

Lunedì a Roma arriva il segretario di Stato americano Mike Pompeo. Il Dipartimento di Stato ha un programma per lavorare a un 5G sicuro con gli alleati, Clean Networks. L’Italia dovrebbe valutare un’adesione?

Sì, ci si può lavorare. Purché si tenga conto del quadro europeo, e delle linee guida della Commissione Ue.

Il compromesso sul 5G è la prima “rivincita” del Pd dopo il patto per il Sì al referendum?

Non una rivincita, ma un accordo di governo. Per il primo anno il Pd è andato troppo a rimorchio dei Cinque Stelle: regionali o non regionali, l’andazzo doveva cambiare. La lista di cose da fare è lunga.

Le priorità?

Rivoluzioni copernicane nella Pa, nel welfare, nella scuola e nella formazione, per rilanciare la crescita e abbandonare una logica assistenzialista e di breve periodo. Cancellare i decreti Salvini e superare la Bossi-Fini. Usare il Mes per rafforzare la sanità territoriale. Fare correttivi istituzionali che diano un senso al taglio dei parlamentari.

Giancarlo Giorgetti dice che il proporzionale, così, è “un disastro”.

Non ha tutti i torti. Anche sulla legge elettorale vanno messi paletti. I cittadini dovrebbero pretendere due cose dai partiti. Numero uno: devi dirmi prima con chi vuoi governare, magari in un secondo turno elettorale. Numero due: devi dirmi chi mandi in Parlamento a rappresentarmi, scrivendo tu un solo nome sulla scheda o permettendomi di sceglierlo. Una riforma di questo tipo accompagnerebbe lo schema bipolare emerso dalle regionali senza forzare ammucchiate. Pd e Cinque Stelle sono molto diversi (e per me dovranno continuare a esserlo), un doppio turno darebbe equilibrio anche alla loro alleanza tattica.

Nannicini, una curiosità. Il rimpasto si fa o no?

È davvero un tema secondario. Se non sono chiare le priorità, i nomi contano poco. Puoi anche mettere in campo Maradona, ma se è un campo da tennis non fa la differenza. Si cominci a usare di più e meglio il Parlamento, piuttosto che giocare al totogoverno

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