Avvenire

Il problema è strutturale. Serve una fase costituente

Roberta d'Angelo
Democrazia

«È un gesto molto forte, che adesso richiama tutti alla responsabilità di un cambio di passo. Non è solo una questione
di leadership, ora serve una fase costituente». Tommaso Nannicini, senatore del Pd già ex sottosegretario del governo Renzi, non si volta indietro. Anzi. Troval`occasione delle dimissioni da segretario di Zingaretti per uscire dal dibattito delle correnti e voltare pagina. «Dalla nascita del Pd non c`è un segretario che non si sia dimesso prima della scadenza del suo mandato, e accusando un sistema di correnti. È un problema strutturale. Dobbiamo aprire una fase che cambi il Partito democratico, non che cambi il segretario».

C’è chi accusa la “deriva Ds” e chi gli ex renziani… 

Ormai da tempo abbiamo perso la capacità di vivere la dialettica interna come uno scontro tra aree culturali, ma secondo libere personalistiche di potere. Ridurre tutto a uno scontro tra tifoserie vorrebbe dire far morire il Pd.

È il fallimento del progetto del Pd? 

Di sicuro il Pd è un partito che per certi versi non è mai nato, non riuscendo a superare questa sommatoria tra gruppi di potere. Mi aspetto ora una discussione che nasca dalle spiegazioni politiche che Zingaretti dovrà dare del suo gesto, e che saranno un elemento di valutazione e di autocritica.

Zingaretti però ha sempre mantenuto una gestione unitaria.

Faccio qualche esempio: ogni volta che scegliamo un commissario nei territori lo scegliamo in modo che garantisca l’equilibrio tra correnti, non aprendo il partito a società e movimenti sociali. Se è per questo anche i ministri… Appunto. Abbiamo tre ministri capi corrente: queste scelte chi le ha fatte? Senza autocritica, senza politica non andiamo da nessuna parte.

È l’accusa delle Sardine che vogliono occupare il Nazareno. 

C’è bisogno di una fase costituente. Ora abbiamo il vantaggio di un governo che non è un’alleanza politica, ma un governo di salvezza nazionale. Il Pd può continuare a dare il suo contributo con ministri e gruppi parlamentari, mentre usa questa parentesi per ripensarsi e aprirsi alla società. Solo dopo ha senso parlare di leadership. E per questo sforzo servono figure autorevoli e di garanzia.

Un Prodi o un Veltroni? 

Non sta a me fare nomi, ma serve una figura che prepari il terreno con un mandato a tempo, per aprire il partito alla voglia di fare politica che c`è nel campo progressista. Figure fuori dalla lotta politica interna, che non giocheranno la partita della leadership quando avremo finito il percorso costituente.

Hanno vinto gli ex renziani di Base riformista? 

Non penso. Base riformista ha condiviso le scelte degli ultimi anni. Faceva parte del patto di sindacato che ha retto il Pd. Discutiamo fuori dai vecchi steccati.

Gli ex renziani sembrano la spina nel fianco del Pd. 

È un’etichetta che viene usata anche a sproposito per
soggettività politiche molto diverse. Anche perché Renzi fu votato col 70 per cento alle primarie. Poi se vogliamo consumare una lenta eutanasia del Pd, la soluzione è dividerci tra ex renziani, orlandiani, franceschiniani e via snocciolando.

Quindi non ci sarà un tentativo di far fare un passo indietro a Zingaretti?

La chiave è aprire il partito per cambiare tutto. Il segretario ha dato dimissioni irrevocabili.

E che ne sarà dell`alleanza con M5s? 

Ora ci vogliono alleanze sociali. Tutti stanno cambiando alla velocità della luce: i 5s si ripensano con Conte leader, la Lega si ripensa in chiave europea. La sinistra è più ampia del Pd, dobbiamo tornare a unirla rispetto a un’ idea di Paese, le alleanze si vedono dopo.

Il Pd resta a vocazione maggioritaria? 

Certo, perché ha l’ambizione di parlare a tutta la società, non perché pensa di essere autosufficiente.

Il senatore dem: «Dalla nascita del partito non c’è stato un solo segretario che non si sia dimesso prima della scadenza Adesso serve una figura che “apra” il Pd per cambiare tutto. E poi lasci il campo ad altr