Europa 21 Secolo

Riprendiamoci il controllo

Introduzione all'ebook "Rivoluzione europa. istituzioni, economia, diritti: quali proposte per un big bang europeo"

“Riprendiamoci il controllo”, recitava lo slogan della campagna referendaria a favore della Brexit nel Regno Unito. “Riprendiamoci moneta e confini”, gli fece subito eco Matteo Salvini dall’Italia. Un richiamo vincente, non c’è che dire. I fautori della Brexit quel referendum l’hanno vinto. E la nuova Lega di Salvini governa l’Italia insieme al Movimento 5 Stelle e ormai è accreditata come il primo partito italiano da tutti i sondaggi. In paesi dove sempre più persone si aspettano meno dal futuro e percepiscono i propri governanti come incapaci di incidere su quei problemi che parlano alle loro vite, è chiaro il fascino del richiamo a riprendersi il controllo con gli strumenti degli stati nazionali. A fermare il treno della globalizzazione e dell’integrazione europea, per riacchiappare le fabbriche che si sono trasferite in paesi a basso costo del lavoro e per tenere fuori dalle nostre città il fantomatico idraulico polacco (anche se, magari, non la badante rumena, perché quella serve a coprire i buchi di un sistema di welfare tanto esteso quanto lacunoso rispetto a nuovi bisogni).

Fermiamoci un attimo, però. I cosiddetti sovranisti, forti del loro successo elettorale, hanno davvero la situazione sotto controllo? O sembrano piuttosto come gli stregoni di marxiana memoria che hanno evocato forze che ora non sono in grado di controllare? Il Regno Unito è incapace di trovare un modo sensato per farla davvero, la Brexit, e il premier Theresa May si è beccata tre voti contrari del Parlamento sulle proposte di accordo con l’Unione Europea. Mentre qualcuno parla già di un secondo referendum, si sta scivolando verso la possibilità di un’uscita senza accordo con potenziali effetti dirompenti sull’economia britannica. L’Italia del governo giallo-verde, nel frattempo, allarga i cordoni della spesa corrente per far finta di mantenere una serie di insensate promesse elettorali, ma l’economia rischia di tornare in recessione e l’aumento del debito pubblico rende la prospettiva dell’Italexit, l’uscita del nostro Paese dall’euro, meno fantascientifica che nel passato.

Per carità, non basta criticare i pasticci dei sovranisti al governo per risolvere la crisi della politica tradizionale. Se qualcuno si illude che, passata la nottata, si tornerà al paradiso perduto della lotta tra sinistra riformista e destra conservatrice, dei summit intergovernativi tra leader moderati in quel di Bruxelles, ha fatto male i conti. Per dirla con Salvatore Veca, le radici profonde dell’insorgenza del populismo sovranista – che toccano al cuore la crisi della politica e della democrazia rappresentativa – ne spiegano anche la “resilienza”, la persistenza di un solido radicamento elettorale perfino di fronte a scelte di governo fallimentari.

Sul futuro dell’Europa si scontrano tre linee politiche: (1) quella sovranista di rottamare la costruzione europea; (2) quella conservatrice di non toccare lo status quo; (3) e quella neo- europeista di costruire un’Europa politica con chi ci sta. Questa “terza via” è l’orizzonte che lega tra loro le proposte di questo libro. Una terza via tra l’euro-ottimismo inerte di chi spera che – appunto – passi la nottata, l’economia riparta e i consensi dei populisti si asciughino, senza bisogno di cambiare le istituzioni e le politiche europee, e l’euro-disfattismo di chi dipinge l’Europa come il capro espiatorio di tutti i nostri mali, sperando di lucrare consensi dal disagio economico e sociale. Intendiamoci: dire che l’Europa deve essere rivoltata come un calzino non vuol dire inseguire i populisti. Vuol dire fare quello a cui ogni europeista dovrebbe aspirare: caricarsi dell’onere della prova rispetto agli strumenti con cui l’Europa può tornare a creare benessere e giustizia sociale. Perché in politica non sei misurato sulle conquiste di ieri, ma sui problemi che risolvi oggi.

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