La Stampa

Benedetta stabilità, ma il Paese è fermo

Tommaso Nannicini
Economia/#stabilità

“La forza tranquilla”: era questo lo slogan con cui François Mitterrand portò i socialisti al potere nella Francia degli anni ’80. Ma oggi la tranquillità non sembra più un valore apprezzato in politica: polarizzazione e aggressività dominano la scena, vince chi alza di più i toni e la spara più grossa. O forse no. Alla fine, se grattiamo sotto le smargiassate dei politici, ci accorgiamo che per molti elettori tranquillità e stabilità restano un valore. Come sembrano aver capito Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti.

Per carità, Meloni gioca spesso la carta del vittimismo per polarizzare gli animi e alzare i toni dello scontro, creando una cortina di fumo che nasconde la propria inerzia. Giorgetti partecipa ancora al ritrovo della Lega di Pontida, dove le sfuriate di Vannacci hanno rimpiazzato il rito dell’ampolla del dio Po, alzandone il tasso di estremismo invece di ridurlo. Ma in entrambi i casi sembrano più che altro atteggiamenti utili a tenere buona la propria base. Alla fine, il governo e il partito della premier restano forti nei sondaggi non per gli estremismi, ma per il senso di tranquillità e stabilità che infondono.

La manovra economica che la maggioranza si appresta a presentare s’inserisce in questo scenario. Tenere i conti in ordine è il mantra che la compatta. La stabilità finanziaria svolge la stessa funzione che la solidità dei rapporti europei e transatlantici ha in politica estera. Non è solo una scelta contabile, ma una strategia politica: garantire continuità, rassicurare i mercati, consolidare un’immagine di affidabilità. La prudenza fiscale è così il collante di una maggioranza che, sulle riforme, fatica a trovare un terreno comune.

Lo spread deve scendere: alla stabilità politica – che appare anch’essa come una risorsa strategico, specie di fronte all’instabilità francese – deve corrispondere la solidità dei conti. È un messaggio chiaro rivolto tanto a Bruxelles quanto agli investitori, perché la forza del governo passa per la percezione di controllo più che per la capacità di innovazione. E in questa fase, la stabilità vale più della spinta al cambiamento.

Alla fine, nella legge di bilancio, ogni forza politica e sociale che fa riferimento alla maggioranza avrà le sue bandierine, solo meno appariscenti di quelle viste in campagna elettorale. Forza Italia avrà la riduzione di un’aliquota Irpef dal 35 al 33 per cento, per dare una boccata di ossigeno fiscale ai ceti medio-alti: una misura più tranquillità; della flat tax per tutti. La Lega avrà qualche ritardo selettivo nell’aumento di tre mesi dell’età pensionabile che, a legislazione vigente, scatterà nel 2027: una misura, di nuovo, più tranquilla del superamento della legge Fornero. Le imprese avranno il rinnovo dell’Ires premiale o di qualche altra misura incentivante, ma niente di paragonabile a Industria 4.0. I pronatalisti avranno qualche bonus per le neomamme o qualche ritocco al rialzo dei congedi, ma anche in questo caso niente di paragonabile all’invocato quoziente familiare. La componente sindacale avrà la detassazione degli aumenti contrattuali e degli straordinari, ancorché in versione bonsai. Insomma: la virtù sta nel mezzo. O meglio ancora: al ribasso. L’obiettivo principale resta la stabilità, politica e finanziaria.

Dopodiché, non è detto che la stabilità, il restare fermi per non scontentare nessuno, sia quello che serve al Paese. Giovani pagati sempre peggio e anziani lasciati sempre più soli avrebbero bisogno di risposte forti. L’intelligenza artificiale e l’inversione demografica richiederebbero riforme altrettanto forti, per evitare che si creino nuove disuguaglianze. Anche questo agli elettori non sfugge. Negli ultimi decenni, il successo dei populisti è dipeso anche dal fatto che promettevano un cambiamento radicale, una rottura con lo status quo, salvo poi non saperla né gestire né mantenere.

Forse, il segreto per uscire dall’impasse sta qui: ritrovare una proposta di cambiamento radicale che sia popolare ma non populista, che si dimostri capace di ispirare fiducia senza vendere illusioni. Per ora, mentre altri paesi europei arretrano o annaspano, restare fermi sembra una mossa vincente. Ma quando si rimetteranno a correre, ci costerà caro se non ci saremo posti il problema di come darci una mossa.

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