Presentazione del programma elettorale del Partito Democratico
Buona sera a tutti. Ovviamente mi unisco ai ringraziamenti del Segretario a tutti i nostri dipartimenti, i gruppi parlamentari e a tutti quelli che hanno svolto un difficile lavoro di interlocuzione con categorie, associazionismo diffuso e territori per stendere il nostro programma elettorale. Se dovessi scegliere alcune chiavi di lettura che tengano insieme tutte le proposte che troverete sia nella versione nerd sia nella versione per punti, mi concentrerei su quattro punti in particolare.
Il primo – lo ricordava Matteo Renzi – è che si tratta di un programma credibile. Perché, accanto alle proposte, ci sono i risultati di un’azione di governo difficile, portata avanti in anni complicati, nel mezzo di una crisi economica che ha colpito in maniera molto dura questo Paese: le sue imprese, i suoi lavoratori, le sue famiglie. Ma anche perché tutti gli impegni di spesa che prendiamo rispetto agli sforzi di finanza pubblica, e quindi rispetto ai soldi degli italiani, sono inferiori alle risorse che siamo riusciti a mobilitare nelle ultime quattro leggi di bilancio. Quindi, a differenza di altri, facciamo proposte concrete che sono misurabili su quello che siamo stati in grado di fare. Perché per noi “buona politica” vuol dire innanzitutto non prendere in giro gli elettori.
La seconda chiave di lettura è quella di un programma che ha voglia di guardare al futuro. Siamo usciti da una crisi che, come ricordavo, ha colpito duramente l’Italia. Quattro anni fa la priorità era necessariamente prendersi cura del presente, anche con misure anche congiunturali d’impatto che dessero l’idea di poter tornare a puntare sul futuro, creando occupazione e promuovendo investimenti. Adesso che finalmente possiamo voltare pagina, con una ripresa che si sta consolidando, è importante che la politica abbia uno sguardo più lungo e faccia capire agli italiani che c’è voglia di prendersi cura del futuro. Con riforme che sappiano affrontare le nuove fragilità e le nuove insicurezze, per non lasciare nessuno solo di fronte alla sfida del cambiamento che dobbiamo continuare ad affrontare. Perché il mondo corre e non possiamo permetterci di stare a guardare.
Questa è per me la terza chiave di lettura del nostro programma. C’è chi fa programmi per pochi, promettendo mirabolanti riduzioni delle tasse che s’è guardato bene dal fare quando ha avuto la responsabilità di governare e che adesso porterebbero il 50% del beneficio (30 miliardi) al 5% più ricco dei contribuenti. E poi c’è chi agita slogan elettorali per molti. A noi invece interessano proposte per tutti, per superare le frammentazioni che caratterizzano il nostro welfare. Un welfare sfilacciato e categoriale che deve essere rivisto alla luce di una nuova universalità. Per guardare a tutti e non lasciare solo nessuno. Ma dire “a tutti” non vuol dire “a tutti la stessa cosa”, perché diversi sono le esigenze e i bisogni.
La quarta chiave di lettura, secondo me, è che si tratta di un programma che sceglie l’Europa. Dopo tutte le elezioni a cui abbiamo assistito negli altri paesi europei, non possiamo più nascondere la testa sotto la sabbia davanti a chi propone referendum per uscire dall’euro a giorni alterni, sulla base dei sondaggi del momento, mettendo a rischio risparmi e posti di lavoro. Noi in questa sfida vogliamo starci: sappiamo che il 2018 sarà l’anno delle scelte. L’Europa sta finalmente capendo, anche grazie agli sforzi dei nostri governi, che è arrivato il momento di passare da un modello incentrato sull’austerità a un altro incentrato sulle politiche della crescita e sulla costruzione di un’Unione sociale che crei una cittadinanza europea basata sui bisogni reali dei cittadini. Tutte scelte che dovranno essere prese nel 2018: sta a noi decidere se stare in Europa da protagonisti con le nostre idee e i nostri programmi o se chiamarci fuori. Scegliere l’Europa vuol dire scegliere l’Italia, vuol dire renderla più forte e più giusta, come recita il titolo del nostro programma.
Queste quattro chiavi di lettura sono un po’ il filo rosso che tiene insieme proposte diverse. Non voglio fare gerarchie tra i 100 punti ma ci sono misure che queste chiavi di lettura le colgono in pieno. Con i nostri governi abbiamo superato una lacuna storica del nostro Stato sociale: per anni abbiamo organizzato convegni, anche nel nostro partito, lamentandoci che l’Italia era l’unico paese europeo insieme alla Grecia a non avere un reddito minimo di ultima istanza, un intervento strutturale di contrasto alla povertà. Grazie alla nostra esperienza di Governo, oggi abbiamo il Reddito d’inclusione. Uno strumento che ora vogliamo rafforzare raddoppiando entro la fine della prossima legislatura le risorse a disposizione, per coprire tutta la platea di persone in condizione di povertà assoluta. Ma lotta alla povertà vuol dire soprattutto attivazione sociale e lavorativa: ecco perché ci impegniamo a potenziare parallelamente anche la rete di servizi. Adesso è il momento di colmare un’altra lacuna del nostro welfare, quella che riguarda le persone non autosufficienti: un problema che coinvolge sempre più famiglie. Sappiamo tutti quali conseguenze ha la tendenza all’invecchiamento della popolazione. Chi ha una visione corta, davanti a questo fenomeno, propone semplicemente un adeguamento automatico dell’età pensionabile all’aspettativa di vita. Una politica che ha lo sguardo lungo, invece, punta a prevenire i rischi, le fragilità e le insicurezze che questo allungamento comporta. E trova risorse certe e forti perché nessuna persona, nessuna famiglia siano lasciate sole. Con trasferimenti monetari più corposi ma anche con un budget di cura che aiuti chi ha bisogno di servizi alla persona.
C’è una rivoluzione copernicana del fisco e del welfare per sostenere le famiglie: invece di mettere 60 miliardi su una fantasmagorica flat tax, noi – come abbiamo fatto nella scorsa legislatura a favore dei redditi medio-bassi – vogliamo investirne 10 sulle famiglie con figli. Per sostenere la natalità contro il declino demografico ma anche l’occupazione femminile, con meccanismi che aiutino entrambi i genitori a reinserirsi nel mondo del lavoro dopo aver sostenuto la sfida della maternità e paternità. Perché i paesi dove si fanno più figli sono anche quelli dove ci sono più donne che lavorano e tassi di occupazione più alti. Ecco perché nel programma c’è un assegno universale che coprirà tutte le famiglie, a prescindere dal tipo di lavoro e dal reddito, con un sostegno fiscale forte e nuovi strumenti di welfare che accompagneranno i non autosufficienti e i loro parenti nei servizi di cura.
Dentro questa voglia di prendersi cura del futuro c’è ovviamente anche l’impegno sulla qualità del lavoro: siamo soddisfatti del milione in più di nuovi posti di lavoro. Non è merito solo nostro ma anche e soprattutto delle nostre imprese, delle nostre famiglie e dei nostri lavoratori che hanno rimesso in moto la nostra economia. Ora la sfida dev’essere continuare a creare occupazione ma anche aumentare la qualità del lavoro. Ecco il perché della sfida del salario minimo universale. Salario minimo non vuol dire mettere a rischio ma anzi rafforzare la garanzia della contrattazione collettiva. Ma vuol dire soprattutto che se la sera inforco la bicicletta per portare delle pizze non posso prendere 5 euro all’ora: questo è qualcosa che non possiamo permettere. Vuol dire, infine, porre un freno a chi interpreta l’innovazione tecnologica e le piattaforme digitali non come un modo per creare ricchezza ma come un modo per fare concorrenza sleale sul costo del lavoro.
C’è la sfida di ridurre in modo stabile e strutturale il costo del lavoro, che ci impegniamo ad abbassare di quattro punti nella prossima legislatura, dall’attuale 33% al 29%. Un percorso graduale e credibile che deve portare alla riduzione del cuneo contributivo: il tempo indeterminato a tutele crescenti vale di più, deve costare di meno. C’è il diritto soggettivo alla formazione. Una formazione continua con un conto personalizzato perché nessuno dev’essere lasciato solo nella sfida di adeguamento e cambiamento che viene richiesta a tutti, imprese e lavoratori, in un mercato sempre più dinamico.
Infine, c’è una pensione di garanzia per i giovani. Qualcuno ci chiede perché ci preoccupiamo di chi andrà in pensione tra 20 o 30 anni. Perché? Il 40% dei giovani lavoratori intervistati da un recente studio del Cnel, alla domanda su cosa creasse loro maggiore preoccupazione, rispondeva “non avere una pensione adeguata”. Per noi prendersi cura del futuro vuol dire prendersi cura delle ansie e delle preoccupazioni dell’oggi. Vuol dire non guardare al sistema previdenziale solo con un approccio ragionieristico: la sostenibilità del sistema deve sempre essere garantita perché questo ci chiedono le future generazioni, non possiamo ignorare che attualmente chi sta nel contributivo non ha nessuna garanzia minima per il futuro. Ecco perché proponiamo di dotare i giovani lavoratori di una pensione di garanzia parametrata agli anni di contributi versati. Un intervento concreto per i pensionati di domani.
Sguardo lungo e voglia di portare avanti riforme che abbraccino esigenze diverse ma tenendo conto di tutti. Perché i benefici di una crescita che dobbiamo continuare a consolidare raggiungano sempre più persone, sanando fratture generazionali, sociali e di genere per ricucire le quali in questo Paese dobbiamo ancora lavorare tanto. L’unico modo per farlo è proseguire con questi interventi, continuare quell’azione di riforme che qualcuno vorrebbe cancellare o arrestare, e stare in Europa da protagonisti. Perché, se saremo forti e faremo sentire forti le nostre idee e la nostra voce, è da lì che arriveranno molte risposte ai nostri problemi.