Le tre lezioni sul lavoro che ci regala il 20 maggio

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Il 20 maggio 1970 veniva promulgata la legge 300, lo Statuto dei lavoratori. Il 20 maggio 1999 veniva ucciso il professor Massimo D’Antona, per mano di folli auto-denominatisi “Brigate rosse per la costruzione del partito comunista combattente”. Questa tragica coincidenza ci insegna tre lezioni.

Prima: i diritti di chi lavora avanzano quando la sinistra governa, non quando fa proclami che lavano la coscienza, ma non portano né pane né lavoro. È questa la lezione dei compagni socialisti Giacomo Brodolini e Gino Giugni, il ministro del lavoro e la mente giuridica dietro allo Statuto del 1970. Una lezione che era vera allora e resta vera oggi. Per portare lo Statuto nel XXI secolo c’è molto da fare. Dobbiamo far vivere nuovi diritti, come quello alla formazione permanente e alla giusta retribuzione. E dobbiamo combattere nuovi sfruttamenti, che magari non si annidano in una catena di montaggio ma dietro a una falsa partita iva. Serve uno Statuto del lavoro che cambia. Oggi.

Seconda lezione: i diritti di chi lavora avanzano se non restano sulla carta, ma si nutrono del ruolo del sindacato e della contrattazione collettiva. Ce lo spiegava Gino Giugni in un’intervista all’Avanti! di allora: “tra le due parti del progetto, che riguardano rispettivamente i diritti dei lavoratori e la presenza del sindacato in fabbrica, esiste una stretta connessione. La nostra tesi infatti è che la creazione di un clima di rispetto della dignità e libertà del lavoratore non può derivare soltanto da una dichiarazione di questi principi, anche quando a essa, come nel caso nostro, si accompagnino adeguate sanzioni. In realtà, come l’esperienza insegna, la sanzione più efficace riposa nella capacità di contestazione e di innovazione del sindacato”. E ce lo ha insegnato anche Massimo D’Antona, un intellettuale e un servitore dello Stato che non negava il conflitto tra chi detiene i mezzi di produzione e chi vive del proprio lavoro, ma pensava che da quel conflitto i diritti dei lavoratori potessero uscirne rafforzati solo se il ruolo e le responsabilità di chi li rappresenta fossero chiari e racchiusi in regole certe. Di fronte alla crisi di tutti i corpi intermedi, se vogliamo portare la capacità di “contestazione” del sindacato nel XXI secolo e metterlo in grado di tornare a produrre “innovazione”, dobbiamo riformare il nostro sistema di relazioni industriali. Misurando la rappresentatività di tutti, organizzazioni datoriali e sindacali, in modo da disegnare nuovi diritti e nuovi doveri. E dobbiamo rilanciare la sfida della partecipazione dei lavoratori in azienda. Nei cda delle grandi aziende devono sedere i rappresentanti dei lavoratori, non i nominati della politica.

Terza lezione: i diritti di chi lavora arretrano quando il furore ideologico e l’odio per le idee altrui prendono il sopravvento. Una verità alquanto triste in un Paese che conta troppi morti tra intellettuali, sindacalisti, imprenditori e politici che si sono occupati di lavoro con passione e intelligenza, senza farsi ingabbiare da steccati di parte. Nel ricordare questa lezione, mando un forte abbraccio ai familiari e agli amici di Massimo D’Antona e delle altre vittime del terrorismo, in un anniversario in cui lo strazio del dolore e la dolcezza dei ricordi si rincorreranno tra loro. Alla politica resta il monito di parlare di lavoro pensando alla vita delle persone, rispettando le posizioni di tutti, senza alzare muri d’odio e aizzando gli animi su temi così caldi. Abbiamo bisogno di nuove idee, forti e concrete.