Linkiesta

Indovina Grillo: al potere o sempre all’opposizione?

Tommaso Nannicini
Democrazia/#grillo

Il nuovo passatempo dei commentatori è dare consigli a Grillo. Anche se a quanto pare ne ha poco bisogno, la tentazione – anche per chi scrive – è difficile da resistere. La vittoria elettorale del Movimento 5 Stelle è stata strabordante. Senza guerre in mezzo, nessun partito che si presentava per la prima volta in una competizione nazionale aveva raggiunto di botto il 25,5% dei voti (8 milioni e 688mila). Il postcomico genovese ha battuto anche il record di Berlusconi, che nel 1994 con Forza Italia aveva preso il 21% (8 milioni e 136mila). Adesso, i 5 Stelle sono davanti a un bivio, e le scelte su economia e istituzioni serviranno a capire che strada prenderanno.

LA MOSSA DELLA TORRE
Due strade sono percorribili. Per dirla con Vittorio Foa, potremmo chiamarle la “mossa della torre” e la “mossa del cavallo”. La prima è presto detta. Pur entrando nelle istituzioni, il Movimento 5 Stelle mantiene una forte connotazione di lotta, non si sporca le mani con la fatica quotidiana del governare e cerca di strappare punti simbolo del suo programma. E, allo stesso tempo, usa i propri rappresentanti come una sorta di “sentinella civica” dentro le istituzioni, sbandierando una funzione – vera o presunta – di controllo e trasparenza. Il problema è che questa opzione, un po’ di lotta al sistema e un po’ di movimento che si fa sistema entrando nelle istituzioni, è difficile da mantenere nel lungo periodo. È lo stesso nodo che si è posto per la Lega, che Maroni sta cercando di sciogliere facendosi sistema in alcune regioni.

Comunque la si pensi, se Grillo sceglierà la mossa della torre, lo capiremo da come si muoverà in tema di legge elettorale ed economia. In questo caso, la legge elettorale ottimale per lui sarebbe una qualche variante del proporzionale. Solo questo sistema gli darebbe un forte potere di pressione, senza legargli troppo le mani e lasciando gli altri a cuocere nel fuoco lento di una governabilità difficile da garantire.

Il programma economico, invece, potrebbe limitarsi a ricalcare quello elettorale, che giustapponeva proposte sensate (class action, riduzione del debito pubblico) con proclami meramente ideologici come “abolire la legge Biagi” (in quali parti e perché?), oppure con proposte tanto generiche quanto prive di senso come “impedire lo smantellamento delle industrie alimentari e manifatturiere con un prevalente mercato interno” (come? con i dazi e a discapito delle più efficienti imprese esportatrici?). Non una parola su temi cruciali come le tasse, il fiscal compact o gli investimenti dall’estero. Insomma: un tipico programma di lotta più che di governo.

LA MOSSA DEL CAVALLO
Ma, per tentare lo scacco matto, Grillo potrebbero essere tentato dalla mossa del cavallocompetere ad armi pari con i poli del tramortito bipolarismo della Seconda Repubblica. Non solo gridando che le cose non vanno, ma cercando di cambiarle. In tal caso, la legge elettorale ottimale per lui sarebbe l’uninominale a doppio turno. Il doppio turno, infatti, avvantaggia due partiti: (1) quelli che pagano un prezzo politico enorme quando s’alleano con altri; (2) quelli che sono capaci di saccheggiare i bacini elettorali degli altri, anche senza bisogno di alleanze esplicite. Il Movimento 5 Stelle risponde a entrambi i requisiti. Il doppio turno, inoltre, è il sistema che il centrosinistra propone da sempre, e che un centrodestra in cerca d’identità per il dopo-Berlusconi potrebbe valutare come un’arma per rimettersi in gioco. Senza contare che è il sistema che servirebbe di più al paese. Perché garantirebbe una governabilità francese in un quadro partitico sempre più in salsa greca. E perché renderebbe la selezione della classe politica di tutti i partiti più trasparente rispetto al Porcellum.

In tema di economia, la mossa del cavallo richiederebbe di inserire le proprie proposte all’interno di una visione complessiva. Magari fortemente populista, ma che sappia dotarsi di una teoria di governo, con un mix di lotta ai privilegi (sempre e comunque degli “altri”) e di riforme apparentemente redistributive (senza calcolarne gli effetti di lungo periodo). Come è successo spesso in alcuni paesi dell’America Latina. E il paragone non sembri irriverente, perché almeno quelle forze si sono confrontate con la fatica del governare. Stiamo a vedere.

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