AIC - Il Calciatore

Nello sport business e diritti devono crescere insieme

Fabio Appetiti
Democrazia/#athletepro#sport

Sen. Nannicini lei è stato tra i padri del provvedimento sugli anticipi di pensione per gli sportivi professionisti tramite un contributo di solidarietà, insieme al compianto prof. Stefano Patriarca. Le chiedo di cominciare questa intervista proprio con un ricordo del professore scomparso qualche mese fa.

Stefano era una persona unica, instancabile se c’era da risolvere un problema che toccava la vita delle persone. Quando ascolto Brunori Sas penso sempre che questa frase sia stata scritta per Stefano: “Non sarò mai abbastanza cinico da smettere di credere che il mondo possa essere migliore di com’è. Ma non sarò neanche tanto stupido da credere che il mondo possa crescere se non parto da me”. Il caso delle pensioni degli sportivi a cui, tra mille altri dossier, Stefano si era appassionato è un esempio di questo suo approccio. Molti ci dicevano: ma perché vi occupate di calciatori? Ci sono mille altri problemi più seri e categorie più svantaggiate. E invece sì, ce ne siamo voluti occupare perché con quella scusa non si fa mai niente. Senza oneri per la finanza pubblica, abbiamo fatto un intervento che ha allargato le tutele previdenziali per professionisti che hanno dedicato la loro vita allo sport, chiedendo un piccolo contributo a quelli con redditi più alti. Una misura equa e sostenibile. Un piccolo risultato nella direzione giusta.

Parliamo di Legge di bilancio, tra qualche giorno arriverà la discussione in Parlamento. Quali sono le principali novità contenute in manovra?

Si disinnesca l’aumento dell’Iva, che avrebbe inciso negativamente sui consumi e sulle tasche degli italiani. E si stanziano prime risorse, non sufficienti ma importanti, per tagliare le tasse a chi lavora (il famigerato cuneo fiscale), aiutare le giovani coppie che vogliono diventare genitori e far partire un piano per la riconversione circolare del nostro tessuto produttivo, in modo da favorire la sostenibilità ambientale della nostra economia. Sono scelte importanti, anche se secondo me ci sarebbe voluto più coraggio. La scelta di non toccare l’Iva neanche per i consumi di lusso e di non superare Quota 100 ha limitato troppo gli spazi di manovra. Con meno veti incrociati tra le forze che compongono la maggioranza, si sarebbe potuto fare di più per la crescita e l’uguaglianza.

Lei fa spesso riferimento nei suoi interventi pubblici a interventi per donne, giovani, famiglie. Mi dica secondo lei un provvedimento per ognuna delle categorie che prenderebbe subito.

Mentre il mondo corre incontro al 5G, l’Italia è bloccata dalle 3G delle sue disuguaglianze: di genere, generazionali e geografiche. Aree interne che si spopolano, giovani che inseguono i loro sogni all’estero, donne che lasciano il lavoro dopo la nascita di un figlio per non farvi rientro. Dovevano essere queste le priorità della manovra. Come? Rafforzando i congedi parentali e facendo subito un assegno universale per tutte le famiglie con figli, perché il nostro fisco al momento aiuta poco le famiglie e contiene disuguaglianze inaccettabili: chi ha redditi bassi non riceve detrazioni e i lavoratori autonomi non hanno l’assegno al nucleo. E poi dirottando tutte le risorse che ci sono per il taglio del cuneo fiscale, ma che rischiano di essere inutili se spalmate su una platea troppo ampia, per fare un taglio selettivo, ma massiccio, solo sui giovani e sulle donne.

Parliamo di sport. Lei ha passato molti anni a insegnare nelle università Usa tra baseball, basket, football americano. Mi piacerebbe conoscere qualche sua impressione sul sistema sportivo americano.

La prima cosa che ti colpisce degli sport americani (io amo soprattutto il baseball) è il clima negli stadi. Un’esperienza coinvolgente per tutti: tifosi, appassionati di sport, famiglie. Noi facciamo spesso la caricatura degli americani che vanno allo stadio solo per mangiare hotdog, ma non è così, c’è di tutto e tutti convivono in un clima positivo. La prima volta che sono andato a Fenway Park, lo storico stadio dei Boston Red Sox, non c’erano ancora gli smartphone e mi ricordo padri e figli che segnavano il punteggio con penna e carta, seguendo regole che gli appassionati imparano fin da piccoli da oltre un secolo. Poi, per carità, gli sport americani sono anche un grande business, con regole tutte particolari. Niente retrocessione. Società che hanno squadre in tutte le categorie minori, dove i giocatori fanno gavetta per salire. E rapporti di lavoro disciplinati in maniera ferrea, con regole a cui si è arrivati anche con momenti di lotte sindacali. C’è un libro molto bello di un ex giocatore di baseball professionista, Curt Flood, “A Well-Paid Slave”, dove si racconta la lotta molto dura che i giocatori hanno dovuto fare per ottenere la “free agency”, la possibilità di andare sul mercato autonomamente dopo alcuni anni di professionismo. Prima non era possibile, anche se ti scadeva il contratto restavi “schiavo” della squadra che ti aveva lanciato. Di nuovo, qualcuno storcerà il naso: stai parlando di giocatori professionisti non di lavoratori nelle piantagioni… Ma non c’è luogo dove la giustizia sociale non abbiamo bisogno di qualcuno che lotta per realizzarla.

Pensiamo alle calciatrici della nazionale Usa campioni del mondo. Sono avanti a tutte e la loro capitana Megan Rapinoe è una icona planetaria dei diritti delle donne. In Italia invece su questi temi siamo ancora indietro, le ragazze per esempio non hanno previdenza e solo da poco la maternità. In Italia sulla professione dello sportivo c’è poca attenzione. Soprattutto per il dopo, mancano strategie per politiche attive e formazione. Quale il suo pensiero?

Io sono stato in Francia, a Valenciennes, per vedere le nostre azzurre giocare contro il Brasile per il mondiale. Al di là del risultato, una sconfitta in ogni caso per noi non penalizzante, è stata una bellissima serata. Bel gioco e un clima stupendo sugli spalti. Un po’ come negli Usa, appunto. È fantastico che in così poco tempo il calcio femminile in Italia stia guadagnando consapevolezza e popolarità. Sul professionismo, penso che dovremmo uscire dalle dichiarazioni di principio e allargare lo sguardo a tutti gli sport femminili, non solo il calcio. La legge consente già alle federazioni di far passare le donne al professionismo, ma il problema è la sostenibilità economica che questo passaggio comporta. La politica, invece di fare dichiarazioni generiche a favore del professionismo delle nostre sportive, batta un colpo. Per esempio con misure temporanee che diano incentivi fiscali o contributivi per i campionati femminili che decidono di raccogliere questa sfida.

Sempre in tema di rapporti Italia-Usa le chiedo se conosce il neoproprietario della Fiorentina Commisso e se è favorevole all’intervento di capitali stranieri nelle società italiane di calcio?

Non conosco bene la nuova gestione della Fiorentina, ma ha portato molto entusiasmo in città e, da juventino anomalo che ha simpatia per due belle società come Fiorentina e Torino, spero che questo entusiasmo si trasformi in risultati tangibili. La storia recente di proprietà straniere in Italia ci ha fornito esempi positivi e negativi, ma penso che in questo caso la familiarità con l’esperienza statunitense sia un viatico positivo, perché chi arriva viene da un ambiente molto competitivo dove sostenibilità economica e risultati sportivi devono necessariamente andare a braccetto. È la filosofia giusta, anche per l’Italia.

Per chiudere una domanda leggera, ma non semplice: la top 11 della serie A di Tommaso Nannicini.

Mi lancio su un 4-3-3 figlio del Sarrismo, tra l’altro con Sarri condivido le origini. Qualità ed equilibrio. Partirei in porta con Berisha, portiere poco spettacolare ma concreto. I due centrali Izzo, con la sua storia meravigliosa, e Acerbi, giocatore che si contraddistingue per un’umanità incredibile. A destra schiererei Di Lorenzo, che sta facendo una stagione straordinaria, mentre a sinistra il vecchio cuore rossoblù Criscito, esperienza e buon piede. Centrocampo a tre con due giovani: Zaniolo e Castrovilli, grandi sorprese solo per chi non segue il calcio. Poi serve un uomo di esperienza e ordine, quindi metto Pjanic da play davanti alla difesa. In attacco non posso lasciar fuori un campione come Ribery, che ha portato un grande valore aggiunto al nostro campionato. L’altro esterno? Dybala, faccia d’angelo ma istinto da killer con il suo formidabile sinistro. Davanti sono vecchio stile, non per niente il mio idolo giovanile era Paolo Rossi, prediligo il centravanti ossessionato dal goal: Immobile, fisico e corsa, grande temperamento e palla in cassaforte. Straordinario.