Ogni anno una madre che lavora passa due mesi in più a prendersi cura della famiglia rispetto a un padre lavoratore. Mentre lui gioca a tennis lei fa la spesa, mentre lui fa gli straordinari lei porta il figlio piccolo a calcio, mentre lui esce a fare un aperitivo con i colleghi lei impana le cotolette. Una condizione che nel nostro Paese si ripete da millenni ma che non è impossibile modificare. Si chiama parità genitoriale e non siamo ancora riusciti a raggiungerla. Per farcela, servono sostegni economici e politiche sociali adeguate innanzitutto ma anche un cambiamento di pensiero che modifichi le «abitudini» culturali. Lei sta a casa, lui esce, lei prepara la cena, lui va in palestra, lei fa il part time, lui gli straordinari.
Per visualizzare concretamente questo cambiamento abbiamo chiesto ai docenti universitari Alessandra Minello e Tommaso Nannicini, appena usciti in libreria con il libro Genitori alla pari (Feltrinelli), di suggerire sei possibili strumenti per agevolare la parità di genere. Pensate quanto sarebbe diversa la nostra società se vivessimo queste sei mosse.
Congedi generosi e perfettamente paritari
L’80% dei divari di genere nel mondo del lavoro deriva dall’arrivo di un figlio. Lo squilibrio nel lavoro, lo squilibrio nella cura si combattono con congedi paritari per tutti gli adulti di riferimento nelle diverse famiglie del nostro Paese. Quando una trentenne e un trentenne fanno un colloquio di lavoro, al potenziale datore di lavoro che li ascolta non deve sfiorare nemmeno l’idea che, a parità di competenze, potrebbe rischiare di perdere la prima per un determinato numero di mesi, ma non il secondo. «Servono congedi paritari e non trasferibili, di cinque mesi obbligatori per ogni genitore, con un’indennità pari al 100% del reddito da lavoro per la componente obbligatoria e non inferiore all’80% per quella facoltativa (i congedi parentali), e con una generosità ancora maggiore nel caso di famiglie monogenitoriali o in cui siano presenti figli con disabilità. Congedi flessibili nelle modalità di utilizzo, ma salvaguardando periodi minimi nei quali entrambi i genitori agiscano come caregiver principali, senza sovrapposizioni, perché i padri non siano solo “turisti della cura”, ma la condivisione sia reale a tutti gli effetti».
Combattere gli stereotipi di genere
La parità comincia a casa. «Nelle famiglie dove il padre collabora di più i figli già da adolescenti sono più partecipi nei lavori di cura. Ma lo squilibrio di genere è ancora sulle spalle delle donne, che – se madri – passano 64 giorni in più a dedicarsi ai lavori domestici rispetto ai padri. Oltre ai congedi, serve combattere gli stereotipi sulla divisione dei ruoli familiari. Siamo ancora nella fase in cui un padre che cambia un pannolino fa notizia. Servono nuovi modelli di genitorialità, liberi dagli stereotipi».
Assumere che tutte le famiglie siano paritarie
Quando il bambino sta male, la scuola telefona alla mamma. È difficile cambiare le cose “quando si è sempre fatto così”, quando per generazioni lo squilibrio di genere è stato la norma: fino a quando cambiare il pannolino rimarrà un dovere esclusivamente materno o fino a quando le scuole, in caso di bisogno, chiameranno sempre e solo le madri. È una lotta costante contro gli stereotipi. Per scardinare questi meccanismi serve una formazione mirata, basata su principi di parità per le famiglie e per le scuole. Sarebbe importante anche raddoppiare i permessi lavorativi in caso di malattia dei figli (soprattutto sopra i 3 anni, dato che ora ammontano a soli 5 giorni all’anno), allocando la quota aggiuntiva ai soli padri.
Servizi integrati di sostegno alla genitorialità
Per crescere un bambino ci vuole un villaggio. La genitorialità non può essere solitudine: le famiglie sono cambiate, sono meno numerose, a volte distanti. A volte famiglia è semplicemente il nome che si dà a chi si sceglie di avere accanto. Ma perché queste famiglie siano forti c’è bisogno di aiuto, di una comunità. La soluzione, allora, è poter godere di servizi integrati a livello comunale: asili nido, centri diurni, consulenza familiare e attività educative per adulti (genitori e non solo) e bambini. Comunità educanti a livello locale, che si fanno ecosistema ottimale per il dispiegarsi di una genitorialità condivisa: dovrebbe essere questo l’obiettivo ultimo di servizi integrati gestiti in maniera armoniosa dal settore pubblico e dal terzo settore.
Riconoscere la genitorialità di tutte e di tutti
Imparare da chi conosce la parità. «Nelle famiglie omoaffettive il lavoro di cura è distribuito in maniera più paritaria che in quelle eterosessuali. Quando ci sono due padri o due madri il tempo di cura è più bilanciato (se non lo è dipende principalmente dalle attitudini individuali) e chiaramente questo ha un effetto positivo sul benessere economico familiare. Nelle famiglie in cui ci sono due padri, per esempio, c’è uno spazio nuovo per la creazione di modelli di mascolinità alternativi e per trasformazioni del ruolo paterno che contribuiscono a produrre relazioni di genitorialità egualitarie attente, consapevoli e aperte a esplorare nuove dinamiche. Non si tratta solo di tempo più bilanciato, ma anche in quantità superiore: gli uomini nelle coppie eterosessuali sono quelli che trascorrono meno tempo con i figli, se confrontati con le donne (in coppie etero o omoaffettive) e alle famiglie in cui ci sono due papà. Queste famiglie possono essere di esempio alle altre nella strada verso la parità. È necessario estendere la libertà di essere genitori».
Liberare il lavoro, liberare il tempo
È solo una questione di tempo. «Le nuove generazioni vanno messe al centro della riflessione. Gridano la loro crescente consapevolezza dell’importanza di trascorrere il tempo non solo lavorando, ma con la famiglia, perseguendo interessi personali e prendendosi cura della propria salute emotiva. Vanno ascoltate. Per questo mettere in discussione il concetto di tempo è cruciale, perché lo sarà per i genitori di domani. Servizi e lavoro si devono parlare nelle loro organizzazioni orarie, il tempo di cura va bilanciato, il tempo non deve essere il criterio centrale di valutazione nel lavoro. Esempi di politiche che danno “tempo” sono i congedi parentali per la nascita o l’adozione di un figlio, oppure il sostegno a forme di lavoro a tempo parziale e agile per bilanciare esigenze familiari e carriera lavorativa. Il fenomeno delle grandi dimissioni e tutte le rilevazioni su valori e scelte delle nuove generazioni ci segnalano che il tempo è diventato il “fattore critico”. L’obiettivo finale è quello di costruire un’armonia di fondo tra crescita professionale, affetti, autorealizzazione di sé, valori collettivi. Per sprigionare le opportunità che questi mutamenti di lunga durata introducono, dobbiamo aggiornare tutto: cultura sociale e cultura aziendale, rapporti tra coniugi e tra capitale e lavoro. La buona notizia è che felicità e produttività possono andare a braccetto, ma solo a patto di non stare fermi e governare le grandi trasformazioni del nostro tempo».