Unità

Patto di equità sulle pensioni

Tommaso Nannicini
Welfare/#pensioni

Ci risiamo. La discussione sulla Legge di Stabilità (ex Finanziaria) si accende in tema di pensioni. Il governo ha proposto una stretta ai meccanismi d’indicizzazione di quelle sopra tre volte la minima per il 2015-17. Nell’arco del triennio, si raccoglieranno quasi 4 miliardi limando il potere d’acquisto di questi assegni. Allo stesso tempo, ci sarà un prelievo sulle pensioni d’oro al di sopra dei 150.000 euro lordi annui, per un gettito meramente simbolico. Un emendamento del Pd vorrebbe rendere questo prelievo meno simbolico, abbassando a 90.000 euro la soglia sopra cui farlo scattare. Le risorse dovrebbero essere usate per restituire potere d’acquisto alle pensioni di poco superiori a tre volte la minima.

Istintivamente, verrebbe da dire: basta chiedere sacrifici ai pensionati. Hanno già dato con le riforme Amato, Dini, Prodi, Maroni, Prodi e Fornero-Monti. Peccato, però, che i sacrifici siano stati chiesti soprattutto ai pensionati futuri piuttosto che a quelli attuali. E che questa tiritera d’interventi sia dovuta proprio al peccato originale di aver esentato intere generazioni dai costi della transizione verso il sistema contributivo. Le riforme a singhiozzo, piaccia o no, nascono da lì. Ancora oggi il governo cerca di chiedere un sacrificio alle generazioni meno colpite: quelle, per capirci, che sono andate in pensione col retributivo (in toto o in parte). Gli strumenti usati, però, hanno tre limiti.

Primo: si spara nel mucchio, senza distinguere chi ha versato contributi commisurati alla propria pensione da chi ha ricevuto veri e propri regali. Secondo: il quadro normativo che ne emerge è molto frastagliato. Per capirne gli effetti redistributivi, servirebbero cartomanti più che economisti. Terzo: ci si espone all’obiezione della Corte Costituzionale sulle disparità di trattamento. Se tassiamo le pensioni elevate per chiedere di più “a chi ha di più”, perché limitarsi ai redditi da pensione pubblica? Non si dovrebbero colpire anche altri redditi da lavoro o da risparmio privato? L’emendamento Pd aumenta la progressività degli interventi, ma non li lega ai contributi versati e mantiene un quadro poco trasparente.

Ci sarebbe un intervento capace di aggirare questi problemi. È una proposta che mi è capitato di rilanciare spesso (da ultimo in una serie di articoli con Tito Boeri su Lavoce.info):un contributo di equità tra generazioni che chieda di più “a chi ha avuto di più”, imponendo un prelievo sulle pensioni che superano sia un certa somma sia un certo rendimento interno, utilizzando quindi una doppia soglia. Il rendimento dei contributi versati, infatti, dipende dall’ammontare della pensione e dalla speranza di vita al momento in cui si è iniziato a percepirla. Per alcuni baby pensionati che ancora ricevono l’assegno con il metodo retributivo, questo rendimento è enorme, tale da far impallidire qualsiasi investimento spericolato e a fronte di nessun rischio. L’individuazione di una somma sopra cui far scattare il contributo tutelerebbe il principio di equità redistributiva, sostenendo nella vecchiaia chi non ha accumulato abbastanza contributi. E farlo scattare solo sopra un rendimento elevato tutelerebbe l’equità tra generazioni, chiedendo qualche sacrificio in più a chi ha avuto troppo dalle vecchie regole del sistema retributivo.

Un altro vantaggio della proposta sarebbe quello di aumentare la trasparenza del dibattito sulle pensioni, visto che gli enti previdenziali dovrebbe comunicare a ciascun pensionato il rendimento dei contributi versati. Ciò aumenterebbe la consapevolezza finanziaria degli italiani, in un paese dove l’alfabetismo finanziario è al di sotto di quello di altri paesi, come mostrano indagini recenti sulla capacità degli individui di maneggiare concetti relativamente semplici come il tasso d’interesse composto.

Le risorse raccolte con un contributo di questo tipo dovrebbero essere usate per contribuire a finanziare sia gli ammortizzatori sociali dei lavoratori flessibili, sia nuove politiche contro le crescenti povertà di un paese che stagna da due decenni. Rendendo evidente che l’obiettivo principale è riequilibrare le storture del nostro welfare. Con un intervento fatto non per ragioni di cassa, ma, tanto per cambiare, di equità.