Consigliere economico di Matteo Renzi alla presidenza del Consiglio e, da maggio 2016, presidente del Comitato d’indirizzo strategico del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, il professor Tommaso Nannicini, ordinario in Economia politica alla Bocconi, doveva essere ieri sera in città per sostenere la corsa dei candidati “dem”. Appuntamento saltato all’ultimo, ma Il Piccolo lo ha contattato per telefono.
Professor Nannicini, che cosa differenzia il programma del Pd dagli altri?
«Le differenze sono chiare, basti pensare a tasse, lavoro, Europa. Il centrodestra propone la flat tax come ha già fatto mille volte senza metterla in pratica: 60 miliardi che aprirebbero un buco nei conti pubblici, 24 dei quali finirebbero nelle tasche del 5% dei contribuenti più ricchi. La nostra priorità è un’altra: 10 miliardi per aumentare il reddito disponibile delle famiglie con figli, per sostenere natalità e occupazione femminile. I 5 stelle vogliono incentivare la disoccupazione col reddito di cittadinanza, noi il lavoro stabile tagliando di 4 punti – dal 33% al 29% – il cuneo contributivo sul tempo indeterminato. E vogliamo investire sulla formazione permanente di tutti i lavoratori».
E l’Europa?
«Sui temi europei il centrodestra più che una coalizione è una contraddizione e rischia di riportarci ai tempi dei governi Berlusconi, quando in Europa si prendevano decisioni su banche e migranti senza che l’Italia facesse sentire la sua voce. I 5 Stelle propongono un referendum per uscire dall’Euro a giorni alterni, mettendo a rischio risparmi e posti di lavoro degli italiani. Il Pd invece vuole costruire una nuova Europa per prendersi cura di problemi che da soli non possiamo risolvere: difesa, migranti, governo dell’economia nell’Eurozona, investimenti comuni sulla ricerca e sul sociale».
Qual è il suo giudizio sulla divisione Pd-LeU?
«La penso come Prodi: la scelta di LeU di dividere il centrosinistra è un errore e un regalo a Lega e 5 Stelle. Detto questo, spero che dopo il 4 marzo si potrà riprendere il dialogo sui contenuti. Ci sono molti esponenti di LeU genuinamente interessati a politiche che combattano le diseguaglianze. Mi limito a constatare che quando al governo c’erano Bersani e D’Alema i soldi per la lotta alla povertà e per i sussidi alla disoccupazione non si sono trovati, mentre con Renzi e Gentiloni si sono investiti 3 miliardi sulla prima e 2 sui secondi, con riforme di taglio universalistico. Fatti, non parole. La disuguaglianza è una cosa seria. Troppo seria per sbandierarla in campagna elettorale e dimenticarsene quando si governa».