Linkiesta

«Verde, innovazione e terzo settore: la ricetta per il nuovo governo»

Francesco Cancellato
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«Accorpare il ministero dello sviluppo economico con quello dell’ambiente, creare il ministero del terzo settore e chiedere un commissario europeo con una delega forte per stroncare l’elusione fiscale delle multinazionali». Si può parlare di poltrone, ma in un modo diverso. Ed è quello che ha provato a fare Tommaso Nannicini, senatore del Pd, lanciando il suo appello su Twitter, mentre Cinque Stelle e democratici battibeccavano su Di Maio, sulla natura super partes di Giuseppe Conte e sulla presenza o meno di vicepremier al governo. Ribadisce il concetto oggi, Nannicini, alla vigilia del voto, a suo modo decisivo, sulla piattaforma Rousseau, che sancirà la nascita o la morte in culla del governo giallorosso: «Alt – ci interrompe – io lo chiamerei governo verde, contrapposto al governo nero di Salvini».

Che significa?
«Che al di là delle dichiarazioni di principio, un governo funziona se indica delle priorità, non se è semplicemente la somma di due identità distinte. Renzi ha ragione: il governo dura se è di qualità. Non è una questione di palazzo, ma politica: i governi vanno avanti se danno risposte ai cittadini, non staff ministeriali ai capicorrente. Sin dal giorno in cui è iniziata la crisi, ho sempre pensato che le soluzioni migliori fossero il voto subito o un governo con l’ambizione di essere di legislatura, per indicare al Paese nuove opportunità di crescita diverse dalla narrazione di Salvini. La soluzione peggiore sarebbe un governo di transizione, che fa una legge di bilancio ragionieristica e ci porta al voto in primavera».

Teme che nasca un governo di questo tipo?
«Temo che nasca un governo che non affronti alcune delle priorità di questo Paese, quelle in grado di aiutarci a superare vent’anni di stagnazione economica».

La prima priorità?
«Che la transizione ecologica sia opportunità e non vincolo. E che la transizione tecnologica sia giocata in attacco da una grande economia manifatturiera come l’Italia».

Si spieghi meglio…
«Il nostro sistema produttivo è in mezzo al guado. Dobbiamo cambiare paradigma di crescita e lo possiamo fare solo se intercettiamo due assi di trasformazione: quello circolare e quello digitale. Ambiente e tecnologia. Per questo si dovrebbero accorpare il ministero dello sviluppo economico e quello dell’ambente: per creare il ministero della tripla A».

Come le agenzie di rating…
«No, come Accelerazione digitale, Ambiente, Automazione e robotica. Queste sono le tre A che servono per la trasformazione del sistema produttivo italiano, per superare la nostra ventennale stagnazione. L’ambientalismo dev’essere crescita, non decrescita. Sviluppo sostenibile e Agenda Onu 2030 devono essere il collante di un governo di svolta come quello che sta cercando di costruire Zingaretti».

Bisogna dirlo a Beppe Grillo…
«Credo che ci stia arrivando da solo. Il suo ultimo video è abbastanza paradigmatico nel definire questa sfida, quando dice che dobbiamo ripensare il pianeta. Lui è confusionario e istrionico, ma se non altro indica delle priorità».

È finita l’era del Vaffanculo?
«Se si pensa al Vaffa Day e al fatto che Grillo è stato uno dei più grandi inquinatori del dibattito politico nell’ultimo decennio, viene da scuotere la testa. Ma c’è un cambio di passo in quel video e dobbiamo essere onesti nel riconoscerlo. Non c’è più l’antipolitica. Non c’è più la decrescita felice. Non c’è più l’uno vale uno. Spero si cominci a capire che casomai quello che serve è l’uno per tutti, tutti per uno: l’idea che serve una missione collettiva per la crescita, dove ognuno si inserisce con il proprio bagaglio di competenze, impegno, sogni. Poi vediamo se il cambio di passo è reale. Un video non fa primavera».

A proposito dei gialloverdi. C’è chi dice questo nuovo governo nasca contro il Nord, contro le forze produttive del Paese. Altro che superare la stagnazione…
«Dentro le tre A c’è la risposta a chi dice che questo governo non parla al Nord. Perché coniugare sviluppo economico e qualità della vita è la vera sfida del Nord, se vuole continuare a essere un polmone di sviluppo. E la questione ambientale è pure una questione del Nord, di quella Pianura Padana che ogni anno ci lamentiamo essere la terra con l’aria più inquinata d’Europa. Ed è una risposta anche per il Sud: perché crea occupazione, e fa capire che la vera emergenza non sono 40 disperati che arrivano su un barcone, ma centinaia di migliaia di giovani che inseguono i loro sogni altrove».

A proposito di disperati che arrivano su un barcone: la seconda proposta è il ministero del terzo settore…
«È una risposta a chi l’ha indicato come capro espiatorio di fenomeni che la politica non sa governare. Ma non è solo quello. Perché il terzo settore è stato schiacciato anche dall’eccesso di statalismo dei Cinque Stelle. La mia proposta è politica e culturale assieme: diamo protagonismo a questa grande risorsa del Paese e affermiamo che la solidarietà non si ciba di solo statalismo, ma anche di sussidiarietà e privato sociale. Poi c’è un altro segnale da dare: la riforma sul terzo settore della scorsa legislatura aspetta una vagonata di decreti attuativi. Che riguardano aspetti fiscali, contrattuali, regolamentari che coinvolgono tutti i ministeri. Ecco perché c’è bisogno di un forte mandato politico, che sia un ministero senza portafoglio o un sottosegretario a Palazzo Chigi».

Terza proposta: chiedere un Commissario Europeo che faccia una lotta senza quartiere all’elusione fiscale delle multinazionali…
«E mandare il migliore che abbiamo, senza bilancini politici».

Diranno che Nannicini è diventato un nemico del capitalismo…
(Ride) «Casomai nella storia i socialisti il capitalismo l’hanno salvato con lo stato sociale, insieme ai liberali con l’antitrust. Oggi non ha senso che Ed Sheraan paghi al fisco di Sua Maestà più tasse di quante ne paghino Starbucks e Amazon. In un’economia sempre più immateriale, la base imponibile non può esserlo. Non ci possono usare margini elusivi creati spostando i profitti in paradisi fiscali, altrimenti non regge il sistema sociale europeo. Se l’Europa battesse un colpo, armonizzasse la base imponibile al suo interno e facesse la voce più grossa – una voce che si può permettere perché è un mercato cui nessuno può rinunciare – adottando anche unilateralmente delle forti misure antielusive sul solco delle raccomandazioni Ocse, riusciremmo davvero a raggiungere l’obiettivo».

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