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La sicurezza sul lavoro tra tecnologia e diritti

Alfonso Raimo
Lavoro/#lavoro#SICUREZZA

I parenti dei cinque operai morti nell’incidente di Brandizzo non possono accedere al fondo di sostegno per le famiglie delle vittime di gravi infortuni sul lavoro. E’ il paradosso dello Stato che non solo arranca sulla prevenzione, ma anche sul sostegno “ai superstiti” come recita la normativa. Il fondo, da 10 milioni di euro, era stato prima decurtato, poi sull’onda delle polemiche ripristinato ai livelli precedenti. Ma a distanza di mesi il decreto attuativo, responsabilità del ministero del lavoro, non è ancora arrivato. Dunque per il momento fondo inaccessibile, per importi comunque molto limitati: da 3mila a 13 mila euro a famiglia. “E’ il più triste dei paradossi. Già il fondo per le famiglie delle vittime arriva tardi, quando dobbiamo rassegnarci a compensare l’incompensabile piuttosto che prevenire gli infortuni con la formazione e gli investimenti. Almeno facciamolo arrivare, non aggiungiamo ritardi e paletti burocratici che in una materia come questa non ci dovrebbero mai essere”, dice Tommaso Nannicini, professore ordinario di economia alla Bocconi (in procinto di trasferirsi all’Istituto Universitario Europeo di Firenze), già sottosegretario alla presidenza del consiglio e senatore del partito Democratico. Nannicini è il ‘padre’ della commissione d’inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro pubblici e privati nella scorsa legislatura.

Morire sul lavoro. Un altro gravissimo incidente ripropone il tema della sicurezza. Lei nella scorsa legislatura è stato promotore della commissione d’inchiesta parlamentare sulle condizioni del lavoro. A che punto è la sicurezza sul lavoro in Italia?

Oggi è il momento del dolore e della vicinanza a familiari, amici e colleghi delle persone che hanno perso la vita nell’ennesima tragedia sul lavoro. La politica in questi momenti dovrebbe unirsi nel cordoglio, cosa che sa fare, ma subito dopo dovrebbe unirsi nell’elaborare una strategia comune fatta di prevenzione, formazione e investimenti per la sicurezza sul lavoro, cosa che sappiamo fare un po’ meno bene. In Italia, già prima della pandemia, ogni giorno morivano tre persone lavorando o recandosi al lavoro. Una strage silenziosa la cui fine dovrebbe essere la priorità di tutti in una Repubblica fondata sul lavoro.

Come giudica l’operato del governo Meloni in questo settore?

Al di là di annunci e tavoli, per ora si è visto poco. Qualche ritocco utile al decreto 81 del 2008 (il testo unico in materia di sicurezza), introducendo nuovi obblighi sulla formazione e sul controllo di impianti e attrezzature, ma poca roba. E resta la macchia della norma Salvini che ha liberalizzato i subappalti, riducendo qualità e sicurezza lungo la filiera dei lavori pubblici.

L’incidente di Brandizzo chiama in causa proprio il tema degli appalti pubblici. Le garanzie che sono comprese nei capitolati sono adeguate?

Ovviamente non entro nel caso specifico che non conosco, ma è chiaro che il sistema degli appalti è da rivedere, mettendo al centro qualità e sicurezza. Che non è vero che sono nemiche della velocità, anzi. Quando si lavora sicuri, si lavora meglio e la produttività aumenta. In Italia, il combinato disposto delle gare al massimo ribasso e delle poche ispezioni attenta ogni giorno alla sicurezza di lavoratrici e lavoratori. Dobbiamo abbandonare la logica del massimo ribasso, figlia di una politica che spende e spande sui superbonus ma non sulla qualità dei servizi pubblici e sulla sicurezza di chi lavora.

Vede dei rischi nel PNRR?

I rischi legati al PNRR hanno un solo nome: ritardi. Se si accumulano i ritardi e sale la frenesia di accelerare per recuperare il tempo perduto, ecco che nascono nuovi rischi per lavoratrici e lavoratori.

Parliamo di prevenzione: il numero degli Ispettori del lavoro e la disciplina sono adeguati?

Dobbiamo aumentare la quantità e la qualità delle ispezioni. Ma per fortuna non partiamo da zero. Sotto la guida di Bruno Giordano, durante il governo Draghi, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha aumentato i propri ispettori del 65% e ha finalmente inglobato mille ispettori tecnici. In un mondo del lavoro che cambia rapidamente, dobbiamo cambiare anche le competenze di chi fa le ispezioni. Informatici, chimici, ingegneri, statistici: di loro abbiamo bisogno, non solo di giuristi. Poi la disciplina deve essere rivista proprio per facilitare prevenzione, accompagnamento e formazione.

Torniamo sul tema del fondo alle famiglie delle vittime di infortuni sul lavoro, che si aggiunge alla rendita Inail. Nel 2022 sono stati stanziati 9,8 milioni di euro. Sono sufficienti? 

Quelle risorse devono ancora essere sbloccate, manca la fase attuativa. In ogni caso, ben venga un aumento del fondo. Ma la logica compensatoria, ancorché necessaria, non basta. Servono fondi per sostenere gli investimenti in tecnologie e processi produttivi che aumentino la sicurezza sul lavoro. Oggi una delle due parole chiave in tema di sicurezza è: tecnologia.

Perché?

Dobbiamo evitare che le nuove tecnologie – pensiamo per esempio al settore della logistica – aumentino stress e insicurezza mentre si fa il proprio lavoro. Su questo, dobbiamo introdurre nuovi obblighi e controlli, tarati sull’economia degli algoritmi. Allo stesso tempo dobbiamo aumentare gli investimenti pubblici e incentivare quelli privati perché la tecnologia può essere un alleato della sicurezza, prevedendo e riducendo i rischi. L’Inail sta facendo un grande lavoro su questo. Ma tanto per cominciare il governo dovrebbe ripristinarne i vertici che ha decapitato per decreto il prima possibile. E poi dovrebbe sbloccare le risorse che si accumulano inutilmente nelle riserve dell’Ente, per lanciare un piano shock di investimenti. Potremmo chiamarlo “Industria Articolo 1”, in onore della nostra Costituzione.

Se tecnologia è la prima parola chiave in tema di sicurezza, qual è la seconda?

Diritti. Laddove sono calpestati, anche la sicurezza lo è. Lavoro nero, finti straordinari, finte partite Iva, sfruttamento di manodopera irregolare: sono questi i fenomeni da combattere. A pochi chilometri da Roma ci sono intere filiere produttive che sfruttano persone in condizioni di schiavitù, nei campi dell’Agro Pontino, spesso sotto il controllo della criminalità organizzata. Se va bene, 9 euro li prendono al giorno in condizioni di totale insicurezza. Insieme a Sandro Ruotolo, abbiamo fatto una proposta radicale per aggredire questo fenomeno di sfruttamento in tutta Italia, dando reddito, protezione, alloggio e formazione a chi denuncia i propri aguzzini. Mi piacerebbe veder approvato quel disegno di legge in questa legislatura e velocemente.