Il Riformista

Perché l’Unione Europea va trasformata, appunti per quella scossa che serve in vista delle prossime elezioni

Tommaso Nannicini
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Pochi giorni fa, la Florence School of Transnational Governance dell’Istituto Universitario Europeo ha ospitato una conversazione pubblica con la ministra francese Laurence Boone. Con visione e concretezza, Boone è partita dal “perché” l’Unione Europea abbia bisogno di una scossa. L’obiettivo finale dovrebbe essere quello di difendere e rafforzare un modello europeo capace di tenere insieme democrazia, stato di diritto, apertura e stato sociale. E per farlo dovremmo concentrarci su un obiettivo intermedio: trasformare l’Europa in una potenza geopolitica, all’interno di una nuova fase in cui le relazioni internazionali stanno tornando a farsi “giungla” (copyright del solito Robert Kagan). Il verbo giusto è appunto “trasformarla”, perché l’Europa al momento non c’è, in uno scacchiere globale in cui la disumanità di guerre antiche s’intreccia con la sofisticazione di guerre informatiche. Per raggiungere questo obiettivo intermedio, secondo Boone, dovremmo investire con coraggio su tre strumenti: nuovo allargamento a Ucraina e Moldavia, politica industriale, unione fiscale.

Il nuovo allargamento dovrebbe partire proprio da alcuni errori degli anni ’90 e basarsi sull’esigenza di costruire uno spazio politico e di difesa comune. La politica industriale dovrebbe abbandonare i dogmi del passato, tra l’altro già ampiamente superati in ambito accademico, per concentrarsi su una prospettiva forte e unitaria di investimenti pubblici in digitalizzazione, intelligenza artificiale, capitale umano, energia. L’unione fiscale dovrebbe finalmente completare quella monetaria, dotando l’Unione Europea di istituzioni politiche in grado di manovrare risorse proprie, facendo ricorso alle leve che rappresentano il cuore della sovranità economica: tasse e debito. Tutti e tre gli strumenti dovrebbero mirare allo stesso obiettivo: un’Europa forte e visibile sul piano geopolitico e su quello geoeconomico, sempre più intrecciati tra loro. Non mancano i punti interrogativi. Come può farsi più profonda un’unione che si allarga? La Francia è disposta ad accollarsi la perdita di potere politico che una nuova sovranità europea comporta? E la Germania è disposta ad accollarsi la perdita di potere economico? Il paradigma cesellato dalla ministra francese, insomma, non è privo di lacune, ma resta ampiamente condivisibile grazie al giusto mix di visione e concretezza. Le alternative non sarebbero soltanto peggio, ma potrebbero essere disastrose per le nostre libertà.

Resta, però, un quesito di fondo. Su quali gambe possono camminare questa visione e proposte? La costruzione di una comune identità europea richiederà tempi lunghi (che non abbiamo). Nel frattempo, il cambiamento politico ed economico avrà bisogno di attori che vi costruiscano intorno il consenso necessario, per non esporre la costruzione europea a ogni nuova ondata sovranista o populista. Difficilmente la risposta verrà da tecnostrutture ed élite che continuano a crogiolarsi nell’illusione del business as usual, sperando che la nottata passi senza cambiare granché. E neanche da famiglie politiche europee sempre più ingessate al loro interno dal combinato disposto di ideologismi, sudditanze psicologiche o tattiche ai populisti di destra o di sinistra, frammentazione di interessi dei partiti nazionali che le compongono. I federalisti europei – le donne e gli uomini che vogliono costruire gli Stati Uniti d’Europa – devono battere un colpo, caricandosi sulle spalle l’onere della prova rispetto agli strumenti con cui l’Europa può tornare a creare benessere e giustizia sociale. Perché in politica non sei misurato sulle conquiste di ieri, ma sui problemi che risolvi oggi. Nessuno propone di creare un super Stato. E neanche di cedere sovranità, come troppe volte abbiamo detto nella nostra retorica.

Si tratta di costruire una nuova sovranità intorno a problemi comuni che non avranno soluzione se non a livello europeo. Si tratta di “riprenderci il controllo” del nostro futuro, per scippare ai sovranisti lo slogan reso famoso dal referendum per la Brexit. Con chi ci sta, anche arrivando a uno sdoppiamento istituzionale tra chi si accontenta del mercato unico e chi ambisce a qualcosa di più. Lo so: la storiella della nuova Europa gli elettori l’hanno già sentita. Ci abbiamo fatto molti convegni. Mai una scelta. Per questo serve radicalità nelle scelte, una volta per tutte.
Su quali gambe, allora, far camminare questa rivoluzione? Come possiamo costruire un’Europa politica senza una discussione politica, organizzazioni politiche e sociali, a livello europeo? L’Europa ha istituzioni comuni e una moneta comune. Sta costruendo un bilancio comune. Ma non ha partiti politici, sindacati e organizzazioni sociali comuni. Manca una discussione europea e democratica su come riprenderci il controllo. Mentre un po’ tutti si preparano a vivere le prossime elezioni europee come l’ennesimo sondaggio per testare la salute dei governi e dei partiti nazionali, sarebbe bello se i federalisti europei riuscissero a lanciare un segnale forte. Con poche proposte comuni, liste transnazionali, alleanze sociali sui territori cementate da un obiettivo chiaro. Rivoluzione Europa.

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