L’errore è confondere le misure contro la povertà con quelle destinate a sostenere nuova occupazione
«Il limite del reddito di cittadinanza è che fa confusione tra lotta alla povertà e politiche del lavoro: due cose diverse in tutto il mondo», ragiona Tommaso Nannicini, docente di economia politica alla Bocconi e senatore Pd.
Senatore, cosa pensa dell’ultima inchiesta?
«Anzitutto, relativizzerei: sono situazioni sicuramente gravi ma non specifiche del reddito di cittadinanza. In Italia c’è sicuramente un problema di controlli e rispetto delle leggi, ma dobbiamo anche uscire da questo meccanismo che scriviamo le norme pensando solo alla patologia di chi commette un abuso o un reato. Perché le leggi, tutte, sono per le persone oneste, poi se ci sono abusi, si combattono con le sanzioni previste».
Quindi per lei non servono correzioni?
«Tutt’altro ma i problemi del reddito di cittadinanza sono altri. Anzitutto chiariamo che le misure contro la povertà esistono dappertutto, mancavano solo in Italia e in Grecia ed è stata anche I’UE a chiedercele. Non è che possiamo dar retta all’Europa quando ci dice di tagliare le pensioni e non di aiutare i poveri. E mi stupiscono le critiche di Italia Viva: abbiamo introdotto noi le prime misure col governo Renzi».
Diceva che i problemi sono altri. Quali?
«Il Rde rispetto a quello di inclusione è una misura che dà maggiori risorse ma peggiori risposte. Fa confusione tra lotta alla povertà e politiche del lavoro, che in tutto il mondo sono cose diverse. Per colpa di questa confusione il reddito di cittadinanza alla fine non fa bene neanche il suo mestiere di aiutare i più fragili: per migliorarlo dobbiamo rafforzare i servizi sociali per chi vive ai margini, dare di più alle famiglie con bambini poveri e meno ai single, includere gli stranieri regolari che ora vengono esclusi dal vincolo di dieci anni di residenza».
Il Ministro Orlando ha annunciato alcuni correttivi.
«Bene, sono sicuro che andranno nella direzione di chiarire che è una misura di contrasto alla povertà, non tanto per il lavoro. Per quello serve il reddito di formazione».
Ovvero?
«Quando perdi un’occupazione ci deve essere una presa in carico che ti offre servizi di orientamento, formazione e accompagnamento al lavoro. E se accetti hai un reddito robusto per il tempo della formazione. Una Naspi più forte, soprattutto per gli over 55, perché difficilmente trovano un lavoro, e per i giovani. Oggi hai il massimo della Naspi di 2 anni solo se hai 4 anni di contributi e moltissimi under 35 non sono in queste condizioni».
Ora però queste misure di sostegno sono sotto attacco.
«Oggi la grande sfida dello stato sociale è creare un sistema di formazione permanente di massa, che manca non solo in Italia. Una grande riforma che avrebbero lo stesso impatto dell’obbligo scolastico dell’assistenza sanitaria per tutti».
Ci sono già percorsi di formazione e il reddito prevedeva dei lavori socialmente utili per gli enti pubblici.
«La formazione dovrebbe essere una cosa seria e non qualche bando regionale che arricchisce solo l’ente formatore. E anche questa storia che ti concedo il reddito se lavori è sballata: perché non posso farti scavare buche e poi ricoprirle solo perché ricevere un sussidio è visto come una colpa, ma devo offrirti attività che stanno dentro un percorso che ti forma»
Forse il problema è anche il lavoro nero e si preferisce il reddito sicuro e un impiego non in regola.
«I controlli devono esserci e più stringenti, ma non possiamo buttare tutto all’aria. E dovremmo anche finirla con il raccontare che non si trovano lavoratori per colpa dei reddito. Perché ci sono decine di sussidi, anche più corposi, e servono a tenere in alto gli stipendi. Gli economisti lo chiamano salario di riserva: è il minimo al di sotto del quale l’individuo non accetta di lavorare. Se non trovi lavoratori full time con stipendi da 500 euro, la soluzione è semplice: pagali di più».